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Don Nicola e l’Onorevole Peppone

A Brescello ci siamo stati tutti: chi dal vivo, chi solo con la fantasia e chi, vedendo i film di Don Camillo e Peppone, si è immaginato invischiato in qualche avventura.
Nicola non sapeva quantificare esattamente quante volte era stato lì. Tre? Quattro? Conosceva quel borgo come il palmo della sua mano e, tutte le volte, era come se fosse la prima volta. Ogni anno in paese organizzavano delle piccole rievocazioni tratte dai film di Don Camillo e Peppone. Non se ne era persa nemmeno una. Una volta, andò persino a fare quattro chiacchiere con il Cristo dell’altare maggiore. L’intenzione, era quella di trovare una risposta ai vari quesiti che la vita gli presentava davanti.

Il Cristo non gli aveva mai risposto, ma in compenso, Nicola aveva sempre trovato il modo di cavarsela.
Alla sua collezione di avventure questa proprio gli mancava: elezioni del 1946 a Brescello.
Mentre esplorava Facebook alla ricerca di info utili vide un video in bianco e nero. All’inizio strabuzzò gli occhi. Tra deep fake e animazioni varie, la tecnologia aveva fatto passi da gigante, ma quello che stava vedendo era davvero troppo. No. non poteva essere lui. Gino Cervi, l’attore che lo interpretava sul grande schermo, era morto da un sacco di anni. Eppure eccolo lì: Giuseppe Bottazzi, detto Peppone che, con i suoi modi grossolani, invitava tutti quanti a recarsi a Brescello in occasione delle elezioni.

« E quel pretaccio della malora…»
Già il pretaccio. Chissà se Don Camillo avrebbe fatto la sua comparsa?
Nicola lo immaginava là, sul campanile, con il fucile da caccia in mano a scrutare le mosse del suo amico e nemico di sempre.
Senza pensarci troppo, decise che avrebbe partecipato. Ogni scusa era buona per farsi un giro in moto. Aveva una Yamaha Tracer 900. Grigia, cerchioni blu elettrico e due fanali che ricordavano un cane di grossa taglia quando ha voglia di giocare. Quella moto lo aveva portato in giro dalla Bassa
alla Romagna, tra mare e castelli medievali. A quel giro, si sarebbe preparata per un altro viaggio nella storia.
Il giorno della partenza fece un pranzo leggero, montò il supporto per il cellulare sul manubrio della moto per vedere come andava, impostò il navigatore installato sull’apparecchio e si mise in marcia. In strada non c’era nessuno e il caldo si faceva sentire da sotto la giacca, ma non era niente di insopportabile. Passato Cremona, gli toccò fermarsi davanti ad un distributore di benzina perché il cellulare, a causa dell’eccessivo calore, si era surriscaldato troppo e si era bloccato.

Praticamente era come se lo avesse cotto come un uovo sodo. Tutte le funzioni erano bloccate. Sullo schermo del dispositivo era apparsa una scritta piccola e bianca che diceva “ il sistema ha raggiunto la temperatura critica”. Per evitare danni permanenti, il motociclista decise di mettere il telefono nel bauletto e proseguire il viaggio senza usare il navigatore. In fondo, la strada la conosceva fin troppo bene anche senza il supporto di mezzi tecnologici.

La moto aveva raggiunto la velocità di crociera e il motore si era seduto per godersi il panorama della campagna cremonese. Campi. Campi a destra e a sinistra. Niente logistiche, wi-fi, nulla. Giusto una pompa di benzina qua e là per non restare a piedi in mezzo al nulla.
La strada era deserta. Visto il gran caldo, saranno stati tutti in piscina o al mare per rinfrescarsi. Nicola chiamava quella parte del viaggio “ Purgatorio”: non c’era niente intorno. Il casco ovattava qualsiasi cosa si potesse dire. Persino cantare senza un perché. Quello è il momento in cui un biker che si rispetti, ne approfitta per riflettere sulle sue cose. Una specie di analisi introspettiva. Nicola lo utilizzava per avere nuove idee da buttar giù per qualche racconto.

Senza accorgersene, passò il ponte di Viadana e si ritrovò sulla strada dell’argine. Quasi riusciva a vederli. Ancora lì a rincorrersi e aspettarsi in bicicletta come nel finale di quel film.
Quando ormai l’aria nel casco cominciò a farsi pesante, si trovò davanti al cartello del paese e svoltò a destra. Si mise a cercare parcheggio, passò un affresco raffigurante quella volta che avevano dipinto di rosso il sedere della Gisella e, alla fine, trovò parcheggio sotto delle piante poco distante dalla piazza.

Nicola smontò dalla sella, recuperò il telefono cellulare e chiuse il mezzo in modo tale che nessuno avrebbe potuto portarglielo via. Solo allora si accorse che, poco prima di lui, era arrivato un signore goffo e robusto in sella ad una vecchia Moto Guzzi Falcone rossa scintillante. La moto era tenuta benissimo. Sembrava appena uscita dalla concessionaria

L’uomo si voltò verso Nicola e chiese con un marcato accento parmense: « C’è ben tanta gente in giro? Sa per caso il motivo?».
« C’è la rievocazione delle elezioni del 46 qui a Brescello. Vada a fare un giro in piazza. Non c’è molto, ma è divertente».

L’uomo lo squadrò. Aveva un bel paio di baffi e la faccia di chi è abituato a pensare troppo.
« Ragazzo mio, i rossi hanno sempre fatto ridere. Comunque andrò in là a fare quattro passi».
Si avviò senza aggiungere altro. Nicola si grattò la testa confuso. Ok. Casi umani ne aveva incontrati tanti, ma quello aveva un non so che di famigliare. Specie perché aveva un modo di parlare che lo rendeva simile a Valentino Rossi.
Mentre rifletteva su quella faccenda, si tolse la giacca, la chiuse nel bauletto della moto e imboccò la via che conduce alla piazza.
Era tutta piena di volantini elettorali del partito comunista. Nicola si fece un selfie ricordo con uno che raffigurava Peppone e la scritta “ Vota Giuseppe Bottazzi. Vota Partito Comunista Italiano”.
La piazza di Brescello è come un fotogramma tridimensionale: tutte le volte che arrivi lì, resti a guardare la chiesa. Lo ammetto. Rispetto a come compare in TV è più piccola di quello che ci si aspetta. Dopo aver dato un’ultima occhiata a quell’edificio, il motociclista abbassò lo sguardo e sorrise. Eccoli lì.
Uno davanti alla chiesa. La sua statua aveva la mano scolorita perché, ogni volta che qualcuno fa una foto con la statua di Don Camillo, di solito appoggia la mano contro la sua, quasi come a volergli battere il cinque.
Poco lontano, in posizione trasversale rispetto alla chiesa, c’è il municipio e, poco distante, c’è la statua di un altro soggetto: saluta quella di Don Camillo dalla distanza, ha la faccia dura e una copia del giornale “L’Unità” in una tasca del cappotto. Immaginando con la fantasia che fosse una persona reale, Nicola salutò con un cenno la statua di Peppone.
Si diresse in un bar per comprare un ghiacciolo. Il fatto che, da quelle parti, il caldo batta più forte rispetto ad altri luoghi è assolutamente vero. Il barista era un asiatico scheletrico con chiari problemi di comprensione dell’italiano. Nonostante tutto, sfruttando due parole d’inglese e qualche gesto esplicativo che non fa mai male, il ragazzo riuscì ad ottenere il suo ghiacciolo e pagarlo. Quando il barista gli diede il resto, gli allungò un piccolo cartoncino stampato come se fosse una scheda elettorale. Bisognava mettere una croce o sul nome di Giuseppe Bottazzi, oppure sul nome dell’avvocato Spiletti. Il ragazzo rimase un attimo ad esaminare la schedina elettorale. Le indicazioni riportate sul retro, dicevano che avrebbe dovuto votare e infilare il foglietto dentro l’urna in piazza.
« Indeciso sul da farsi?»
Nicola si voltò e vide il signore con la Moto Guzzi rossa che lo stava scrutando con un mezzo sorriso.
« Stavo giusto dando un’occhiata. Ma che fa? Mi segue?» domandò ironico il motociclista.
« Nooo. Sono solo uno scrittore. Mi piace guardare la gente che passa».
« Bé… allora siamo decisamente colleghi»
L’uomo rise e ordinò un caffè. Nicola prese la scheda e, dopo averlo salutato si avviò lungo la via.
Arrivato sulla Piazza Rossa, Nicola vide alcuni figuranti vestiti come dei contadini degli anni Cinquanta che si aggiravano attorno al carro armato parcheggiato lì vicino.
« Compagni»
Nicola si voltò di scatto. Ecco Peppone! I presenti lo videro fare il suo ingresso in piazza con il suo seguito, mentre salutava la folla con il pugno sinistro alzato. Era vestito con un completo color caffè latte, il foulard rosso come solo un comunista d’altri tempi poteva indossare e un cappello a borsalino che lo faceva sembrare uno di quei simpatici nonnini che si fermano al bar a giocare a scopa.

Lo aspettavano turisti, una scolaresca in gita e il sindaco del paese, quello vero. C’era persino quello strano signore. Era in mezzo alla folla. Tirava una boccata dalla sigaretta e ridacchiava tra sé. Solo in quel momento, Nicola si rese conto che aveva un paio di baffi molto simile all’attore che impersonava Peppone. Che fosse stato un nostalgico? Un fan di Stalin?

Peppone si fermò davanti al carro armato, salutò le persone vicino a lui e, dopo aver preso in mano il microfono dalle mani del sindaco esclamò: « Compagni! Sono qui davanti a questo carro armato che ci condurrà alla vittoria proletaria!»
Presi dall’entusiasmo, erano tutti presi ad applaudire. Un paio avevano persino alzato il pugno sinistro. Erano tutti presi dalla foga del momento.

« Io. Giuseppe Bottazzi. Detto Peppone e, per una questione specifica che adesso non sto qui a tirare in ballo… Pepito Sbazzeguti…»
La folla era in delirio.
« Grazie! Grazie! Compagni! Viva la Repubblica! Viva la libertà!».

Peppone ormai parlava a braccio. Tutti ormai erano con una mano sul telefonino per fare il video e una mano chiusa a pugno trascinati da quella foga rosso comunista che investiva tutti. Nicola compreso.
Quando Peppone finì il suo discorso, tutti gli si strinsero attorno per fare una foto ricordo con lui.

« Tranquilli. Tranquilli. La compagna fotografa farà le foto a tutti per tutti! Dategli in mano i cellulari che al resto ci pensa lei».
La compagna in questione era una signora minuta con un paio di occhietti vivaci e ipertiroidei. Non era proprio il reclamo della salute, ma per fare un paio di foto andava più che bene.

Nicola si fece strada tra le persone, impostò la fotocamera del suo cellulare e, quando fu il suo turno, allungò l’apparecchio alla compagna fotografa per farsi fare una foto.
Quando Peppone se lo vide arrivare davanti, lo scrutò torvo e borbottò: « Don Camillo cosa fa? Sconfina e diventa uno dei nostri?»

Nicola rimase di sasso.
Peppone rise e commentò: « Dai va la’! Stavo scherzando! E’ che dalla faccia mi ricordi Don Camillo».
Nicola rise e si mise vicino a Peppone per fare la foto.
Il signore con i grandi baffoni si fece avanti e commentò: « Peppone! E’ un problema se la foto ve la faccio io? Questa scena proprio non me la voglio perdere».

Peppone sorrise e rispose: « Faccia pure Signor Guareschi».
Solo allora Nicola collegò un paio di dettagli: Brescello, la Moto Guzzi, la sigaretta e i baffi.
Vuoi vedere che…
Guareschi prese in mano il cellulare dalla compagna fotografa ed esclamò: « Fate un bel sorriso! Che io non sono tanto pratico di queste robe tecnologiche».
In meno di una frazione di secondo Guareschi scattò la foto. Un’immagine irreale, nata dalla fantasia del sole battente di Luglio che racconta una storia di cui il Grande fiume sfuma i particolari giocando con le situazioni.
Peccato che Nicola non avrebbe potuto raccontarla a nessuno. Chi gli avrebbe creduto?
In compenso sorrise. Aveva trovato un nuovo soggetto per i suoi racconti.

 

Nicola Frontori.